Gen 25, 2018 |
Non mi dispiacerebbe aver la dote del volo! Saper librarsi nell’aria per entrare con l’occhio oltre la visione orizzontale, per andare oltre un limite. Eppure il limite è la componente quotidiana del mio vivere, del quale fatico a prendere coscienza.
Il limite del tempo, dello spazio, delle relazioni, della conoscenza cognitiva è la misura quantitativa del mio avere. È l’enclave del mio Essere!
Se possedessi la dote del volo come gli uccelli, solcherei lo spazio senza muri e confini, ed imboccherei la strada che ha il traguardo della ripartenza verso la convivenza.
Vivere Gerusalemme.
Ogni uomo di buona volontà, laico o credente, dovrebbe fare l’esperienza di vivere Gerusalemme.
Non è certo la panacea dell’umano limite. È l’immersione nella precarietà dell’autosufficienza e del matematico infinito. È la vita di una storia che non sotterra mai la speranza e coltiva un futuro di salvaguardia del dono della vita e del creato, di cui se ne fa custode.
Spesso usiamo l’espressione: ho visitato la città di… per significare che il nostro occhio ne ha fotografato i monumenti, le strade, la distribuzione urbanistica, le sedi della vita sociale, di quella commerciale…
Quando con un po’ di impegno ne entriamo dentro la storia, la coscienza cognitiva si arricchisce.
Altro è l’espressione: vivere la città. Indica l’entrata nel tessuto vitale e partecipativo della comunità che popola quel sito. E quella storia diventa anche la tua.
Per Gerusalemme mi permetto di coniare l’icona delle tre V: vedere, visitare e vivere.
Se questi tre step non li cammini dentro a questa realtà, si resta distratti turisti. A Gerusalemme bisogna investire, bisogna mettere in gioco un pezzo della propria vita per tesaurizzare il valore aggiunto che l’esperienza ti propone.
Quando entri in Gerusalemme, la città nuova ti investe con il suo caotico traffico, con la frenetica vita dei popolosi quartieri residenziali e con le ammiccanti luci del commercio.
Il pellegrino, quando arriva, ha una sola bussola, una sola traccia ed un solo polo d’attrazione. Lo attende la “città vecchia” con le sue possenti mura, costruite da Solimano il Magnifico nel 1537.
Il mio primo varco è stato la new gate o porta nuova. Quella che ti introduce al quartiere Cristiano.
Il pellegrinaggio verso Gerusalemme è come una “ascensione”
La Città santa sorge in cima a una collina, a 800 metri di altitudine.
Fin dalla sua fondazione, avvenuta tremila anni fa ad opera del re David, la decisione ed il tempo del viaggio per raggiungerla sono considerati parte integrante del culto a Dio. È una esperienza decisamente “in salita” e forse proprio per questo capace di trasformarti la vita. Gerusalemme si lascia ammirare da lontano, come la città posta sul monte per attirare a sé le genti (cfr. Mt 5,14).
L’ho raggiunta dopo aver percorso la Galilea e la Samaria da nord e risalendo da Gerico e dalla valle del Giordano.
È una città con una storia molto complessa, nonostante il suo nome contenga la radice della parola “shalom”, che esprime pace e giustizia. Una pace che non potrà regnare senza la giustizia. E solo la giustizia potrà generare la pace.
Dopo aver lasciato impronte lungo le strade di quella terra, comprendo come la convivenza possibile ha un solo “oltre”, l’uomo senza qualifiche di religione, di razza e di censo.
È uno straordinario crocevia di umanità e di fede, di storia e di archeologia ed ha il misterioso potere di segnare la vita di chi ne varca la soglia.
Gerusalemme è una città che ti conquista, l’immersione nelle sue strade ti segna nel cuore. È una città unica, che pare sospesa nel tempo ed al centro del mondo.
Senza le tre religioni monoteiste non esiste la città Santa.
Per gli ebrei è la capitale del re David ed il luogo del tempio.
Per i cristiani è il teatro dell’avvenimento pasquale, fondamento della salvezza.
Per i mussulmani è la terza città Santa, dopo la Mecca e Medina. Da qui Maometto salì al cielo nel suo celebre viaggio notturno.
Gerusalemme è una città molto antica, è come un prezioso scrigno testimone di una storia lunga e complessa, in parte ancora da scoprire. Questo scorcio di medio oriente è stato culla e fonte di grande parte della nostra civiltà occidentale.
Il venerdì è il giorno della settimana che ti offre un vero momento di immersione nel vivere Gerusalemme, è il giorno di una staffetta del tutto particolare.
Si comincia a mezzogiorno con la preghiera dei mussulmani all’Haram al Sharif (il recinto sacro delle moschee). Vado alla Porta Santo Stefano e mi mescolo alle migliaia di fedeli islamici che salgono verso la spianata. Questo accesso è a me interdetto, ma è più importante ascoltare il richiamo del Muezzin, che invita alla preghiera. Quella del venerdì è la preghiera comunitaria, ascoltando le parole dell’Iman e prostrandosi davanti al “Dio clemente e misericordioso”. Siamo abituati a costruirci un Dio un po’ su misura e l’Islam ci offre oggi una provocazione, a non dimenticarci della trascendenza di Dio. Un Dio grande e Unico e, davanti a Lui, non puoi fare altro che prostrarti e pregare.
Per i mussulmani questa città è semplicemente al Quds, la Santa.
Esco dalla città vecchia e vado verso il monte degli Ulivi. Quattro buoni passi in salita.
Due tappe lungo la stessa strada.
La prima è l’eleona, la grotta dove si fa memoria del Padre Nostro. È la risposta alla domanda degli apostoli “Signore insegnaci a pregare”. Il Dio Unico e Grande di Haram al Sharif, qua diventa colui a cui posso rivolgermi chiamandolo “Padre”. È la parola in più rispetto al clemente e misericordioso del Corano. È il salto di qualità del Vangelo.
La seconda tappa è l’orto del Getsemani. La moderna basilica delle Nazioni ha al centro la roccia dell’agonia, venerata dai cristiani fin la IV secolo.
Per le tre del pomeriggio salgo al Convento della Flagellazione per vivere la Via Crucis con i Francescani.
La preghiera inizia nella zona in cui si trovava la fortezza Antonia, sede del governatore Romano a Gerusalemme, e da qui si snoda lungo la via Dolorosa. Le stazioni si susseguono ed entrano nel suq, il mercato arabo. Dopo aver fatto tappa al monastero dei copti ed alla chiesa luterana, la via crucis entra nella Basilica del Santo Sepolcro.
Per raccontare la ricchezza della storia, il significato dei luoghi e della custodia di questo sito, sono state scritte tante pagine da esperti.
Questo è il luogo più certo della Terra Santa, perché la “prova” risale al 135, appena un secolo dopo la passione di Gesù.
Golgota e Anastasis (Resurrezione) sono i due volti del mistero che qui trovano sintesi celebrativa. Dopo essere passato alla tomba vuota, per uscire bisogna ripassare davanti al Calvario. Siamo chiamati a vivere l’esperienza di Tommaso, a mettere il dito nel segno dei chiodi.
Il terzo appuntamento del venerdì a Gerusalemme è quello dell’imbrunire, ogni ebreo va incontro allo Shabbat. Vado verso il kotel, il Muro Occidentale. Normalmente gli ebrei non lo chiamano muro del pianto.
In realtà il secondo tempio, quello dove anche Gesù ha pregato, si trovava sopra sulla spianata.
L’ebraismo non è una fede che piange, è una realtà viva, una fede che per sua natura guarda al futuro.
Nello Shabbat c’è tutta la dimensione dell’attesa, vissuta all’unisono con il sole che tramonta. È l’attesa gioiosa dello sposo per la sposa. Seguendo il ciclo delle stagioni, ogni venerdì la sposa arriva ad un orario diverso. Questo appuntamento diventa un “unicum”.
Spesso associamo lo Shabbat ad un riposo fine a se stesso, dettato dalle rigide regole del Talmud. Lo Shabbat è il giorno dell’innamorato dellAltissimo. Per questo amore, l’uomo abbandona per un giorno alla settimana tutto ciò che potrebbe distrarlo.
Il rito poi continua tra le mura di casa. Il momento della cena diventa celebrazione.
Tre riti diversi, tre modi di alzare lo sguardo su Gerusalemme, oltre le umane contese, mettendo a base la preghiera.
Mi rincorre un pensiero. Non posso conoscere Gerusalemme senza che nel mio cuore ci sia posto anche per ciò che l’altro ama di questa città.
Ogni venerdì, in questa città dalla storia così tormentata, non si stanca di salire al Cielo un messaggio di pace, in arabo, in ebraico ed in latino.
Vale la pena ripartire il consiglio di Michel Sabbath, già Patriarca dei Latini in Gerusalemme.
“Non pregare per gli israeliani, non pregare per i palestinesi, ma prega perché siano insieme nel tuo cuore”
Gen 20, 2018 |
Bilancio? L’etimo implica l’esercizio della pesatura, del dare un valore.
Contare i passi camminati lungo le strade di Israele… mancano i criteri del podista, come si fa di solito quando si fa footing.
Ed è pure un evento così straordinario che non ha i caratteri della visita turistica.
Alla viglia del rientro, non sono neppure sfiorato dal desiderio di restare.
L’anelito a ritornare non mi manca certamente.
Sono molto felice di aver calcato le strade degli amici del Maestro.
Di quel Maestro che ha sconvolto la storia degli uomini, fino a provocare la conta degli anni prima e dopo la sua storia.
Sono felice per essere stato uno dei comuni cittadini che lo ha incontrato lungo le strade di Cafarnao, Tiberiade, Tabga, Kana, Gerico e Gerusalemme.
Una delle persone che lo hanno aspettato ai crocicchi per vederlo, per salutarlo, per sfiorare la sua tunica, per chiedergli l’autografo, per fare un selfie, per porgli la domanda se aveva intenzione di fare una associazione, un partito…
Molti hanno esitato, erano guardinghi, ed io uno di loro, prima di andare agli incontri di quel populista… rompeva le regole del sabato del buon ebreo, entrava nella casa di Zaccheo, esoso esattore, avvicinava i lebbrosi, donne peccatrici, perdonava il ladrone…
Se prendi la tessera del suo partito, diventi un eletto.
Un vero populista per la società del tempo. I notabili del potere gli stavano alla larga.
Gli eventi di quel ieri… oggi si presenterebbero con ii caratteri sociali del 2018.
Che Israele sia un paese dove è difficile e pericoloso vivere, non l’ho percepito.
Non ho mai vissuto il ben che minimo senso di paura, dovunque sia passato.
Non nei quartieri o territori palestinesi, non nella confusione dei shuk, non nella solitudine di strade desertiche, non all’interno delle strade di campagna del Kibbutz…
Non ai controlli dei militari, non all’incontro, ovunque lungo le strade, di giovani militari armati. Non in autobus seduto accanto ad un soldato con un mitra a tracolla, che sta andando al lavoro. Ho visto coppie, lungo la strada del ritorno a casa alla sera, con equipaggiamento non da camera.
Mi sono chiesto se questo è frutto della mia incoscienza e di eccessiva sicurezza.
Sono convinto che i miei passi sono monitorati non solo dal gps che ho in tasca, ma da quel GPS che ama i miei passi, anche quando penso di essere autosufficiente.
Quel Maestro che qui è vissuto, che ha accompagnato, ha guarito, ha camminato, ha sfamato, ha insegnato lungo i tratturi di questa terra, svegliando gli abitanti dei villaggi dal loro torpore…è certamente al mio fianco. Lo sento con il passo avanti il mio.
Quando mi avverte con il fiato corto, mi dà un sorso d’acqua e mi dice: ci fermiamo al prossimo bar a prendere un caffè. La stanchezza non manca, ma quando si cammina in compagnia di amici, la fatica è condivisa.
Gen 19, 2018 |

Bilancio? L’etimo implica l’esercizio della pesatura, del dare un valore.
Contare i passi camminati lungo le strade di Israele… mancano i criteri del podista, come si fa di solito quando si fa footing.
Ed è pure un evento così straordinario che non ha i caratteri della visita turistica.
Alla viglia del rientro, non sono neppure sfiorato dal desiderio di restare.
L’anelito a ritornare certamente.
Sono molto felice di aver calcato le strade degli amici del Maestro.
Di quel Maestro che ha sconvolto la storia degli uomini, fino a fare la conta gli anni prima e dopo la sua storia.
Sono felice per essere stato uno dei comuni cittadini che ha incontrato lungo le strade di Nazaret, Tabor, Cafarnao, Tiberiade, Tabga, Magdala, kanna, Gerico e Gerusalemme.
Delle persone che lo hanno aspettato ai crocicchi per vederlo, per salutarlo, per sfiorare la sua tunica, per chiedergli l’autografo, per fare un selfie, per porgli la domanda se aveva intenzione di fare una associazione, un partito…
Molti hanno esitato, erano guardinghi, ed io uno di loro, prima di andare agli incontri di quel populista… rompeva le regole del sabato del buon ebreo, entrava nella casa di Zaccheo, esoso esattore, avvicinava i lebbrosi, donne peccatrici, perdonava il ladrone…
Se prendi la tessera del suo partito, diventi un eletto.
Un vero populista per la società del tempo. I notabili del potere gli stavano alla larga.
Gli eventi di quel ieri… oggi avrebbero i caratteri sociali del 2018.
Che Israele sia un paese dove è difficile e pericoloso vivere, non l’ho percepito.
Non ho mai vissuto il ben che minimo senso di paura, dovunque sia passato.
Non nei quartieri o territori palestinesi, non nella confusione dei shuk, non nella solitudine di strade desertiche, non all’interno delle strade di campagna del Kibbutz…
Non ai controlli dei militari, non all’incontro, ovunque lungo le strade, di giovani militari armati.
Non in autobus seduto accanto ad un soldato con un mitra a tracolla, che sta andando al lavoro. Ho visto coppie, sulla strada del ritorno a casa alla sera, con equipaggiamento non da camera.
Mi sono chiesto se questo è frutto della mia incoscienza e di eccessiva sicurezza.
Sono convinto che i miei passi sono monitorati non solo dal gps che ho in tasca, ma da quel GPS che AMA i miei passi, anche quando penso di essere autosuffiente.
Quel Maestro che qui è vissuto, che ha accompagnato, ha guarito, ha camminato, ha sfamato, ha insegnato lungo i tratturi di questa terra, svegliando gli abitanti dei villaggi dal loro torpore…è certamente al mio fianco. Lo sento con il passo avanti il mio.
Quando mi sente con il fiatone, mi dà un sorso d’acqua e mi dice: ci fermiamo al prossimo bar a prendere un caffè. La stanchezza non manca, ma quando si cammina in compagnia di amici, la fatica sembra condivisa
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Gen 18, 2018 |
Parto per Tel Aviv. Mi restano le immagini del Solo Dio dalle tre facce e dei muri.
Ho camminato lungo i muri, alla ricerca, senza alcun senso di paura. Ho vissuto nel massimo rispetto del viandante.
Nel cuore questi due panorami.
L’orizzonte della babele mentale!
L’orizzonte del solo Dio della convivenza possibile

Gen 16, 2018 |

Per nascere la porta è sempre stretta, per tutti. E i muri sono il rifiuto a questa nascita!

Gen 15, 2018 |


A circa 100 km da Gerusalemme, lungo il mar Morto sorge Masada, una fortezza naturale unica nel suo genere. Si presenta come una piattaforma naturale con pareti ripide su ogni lato. Si erge a 450 metri al di sopra del Mar Morto (anche se a soli 50 metri s.l.m.).
Erode il Grande si servì di questa rocca nel 40 a.C. ed in seguito la fortificò, trasformandola in una reggia tranquilla, confortevole e a distanza di sicurezza da Gerusalemme. Dopo la conquista di Gerusalemme (70 d.C.) da parte dei romani, la fortezza –comandata dagli “zeloti” ebrei –fu un centro di resistenza. Solo dopo un assedio durato otto mesi, e dopo aver costruito un terrapieno per scalare la parete ovest della montagna, i romani riuscirono a impadronirsene nell’anno 73 o 74 d.C.
Gli uomini della fortificazione preferirono il suicidio di massa, piuttosto che la schiavitù.
È assurta a simbolo del sionismo prima e durante la Seconda guerra mondiale.
Un sentiero ben curato consente di salire la Rocca per gustare il sito archeologico, ma il business del turismo ha insediato una cabinovia per i pigri.
Questo tempo ha alimentato la mia conoscenza e riflessione sul popolo ebraico.
I giudici, i due stati, la grande monarchia con Davide e Salomone, il primo tempio e la deportazione persiana, il secondo tempio, gli usurpatori colonizzatori romani, le invasioni arabo-mussulmane, i bizantini e l’impero ottomano sono le tappe di una storia affascinante e complessa. Un popolo che ha costruito in Jahvè la propria identità. Dalla fedeltà al proprio Dio ha tratto la forza per essere popolo e cittadini del mondo in attesa della liberazione. Le deportazioni, la diaspora, la sofferenza e le persecuzione, le grandi capacità intellettuali economiche ed artistiche dell’ebreo errante hanno scritto pagine importanti nella storia del consorzio umano. Con luci ed ombre da entrambe le parti.
Un popolo che con la forza del sionismo è rientrato nei territori dei propri padri. Con meriti ineludibili ha saputo “salire dalla umiliazione dell’Egitto…verso una terra dove scorrono latte e miele”
L’umana sofferenza che non dimentica una storia travagliata, l’umana propensione al potere sociale, economico e politico… fanno di questa terra un difficile laboratorio alla ricerca della convivenza.
Lo stile di vita, le conquiste, la sociologia e la politica di questo popolo e le relazioni diplomatiche fra vincitori e vinti hanno ancora la strada in salita.
Ricordo le parole di Samar. Diceva che solo con la misericordia si imboccherà il sentiero della convivenza possibile. E noi cristiani possiamo che esserne la fucina di produzione e distribuzione, gratuita.
L’oggi ha ancora molte tinte fosche di ieri. L’homo homini lupus non è scomparso dallo scorrere della storia dell’uomo. Troveremo convivenza possibile quando bandiremo la parola “razza” per assumere quella di “humanitas”.
Gen 14, 2018 |

Il programma del cammino prevede una tappa lunga in Gerusalemme. Ho scelto il non mordi e fuggi del pellegrino turista. Perché il lento perde aiuta a vivere il sito ed il suo evento.
Chiunque incontri, che sta cominciando ad amare questa città, ti suggerisce che per iniziare a capirla, come icona di una storia così complessa, devi viverla per alcuni anni. Pena la strada scivolosa dei flash giornalistici, che hanno lo sguardo non oltre l’oggi.
Al fascino e alla complessità della Terra Santa voglio soffermarmi con la serenità del pensiero sedimentato.
Domenica 14 gennaio. Oltre il tunnel…dentro le grotte.
Dalla collina di Gerusalemme, a 750 metri s.l.m., si esce attraversando un tunnel che ti introduce alle bianche e desertiche colline che portano verso Gerico, il confine Giordano ed il Mar Morto. Questa zona viene anche chiamata Gomorra.
Il tunnel è stato certamente pensato come un acceleratore di velocità per i collegamenti.
Ma qui ha anche il sapore della separazione. Il deserto è una vita di secondo livello. È la terra dei beduini.
Di buon mattino raggiungo in autobus Qumran, a circa 35 km da Gerusalemme.
Nei pressi di questo sito, in undici grotte, sono stati ritrovati i celebri rotoli del Mar Morto, oltre 900 manoscritti. La scoperta è del 1947. Un giovane beduino andando alla ricerca di una pecorella perduta scoprì in una grotta varie anfore di argilla contenenti rotoli di cuoio arrotolati. Contengono testi in prevalenza della Bibbia, ma anche altre opere. Sono documenti dal valore inestimabile. Qui è vissuta una importante comunità religiosa di Esseni, estintasi intorno al 70 d. C. con l’arrivo della furia romana.
Seduto all’interno della ricostruzione archeologica della sede della comunità, sto gustando la bellezza del magico parco. Mi accarezza una brezza che porta l’eco della storia.
È un piacere restare nel silenzio del luogo, osservare il meraviglioso colore rosso delle colline che nascondono nel proprio seno quelle grotte, che ci hanno custodito un cibo così appetitoso.
Oltre due mila anni fa, la comunità Essena ha qui vissuto, lavorato, pregato… con il mare che faceva da specchio. Innamorati della Parola, dotati della lungimiranza per le generazioni future. E con i mezzi che la tecnologia del tempo suggeriva… hanno vergato manoscritti e chiuso scrigni di sapienza per l’umanità.
Sono stati la miniera della Parola del popolo ebraico che, anche inconsapevole, ha tracciato la strada di un Amore che, pur non in vendita, è disponibile al supermercato del dono.
Gen 11, 2018 |
Riparto dal consiglio di Michel Sabbath, già Patriarca dei Latini in Gerusalemme. Palestinese d’origine che ha vissuto, da Pastore di questa Chiesa, la seconda Intifada del 2000.
“Non pregare per gli israeliani, non pregare per i palestinesi, ma prega perché siano insieme nel tuo cuore” Sulla strada per Gerico lascio tutte le mie impronte in Palestina. Samar mi ha suggerito di non usare il toponimo Cis-Giordania. Siamo il territorio autonomo della Palestina, un incrocio di civiltà e ponte culturale fra Est e Ovest. È il territorio di una grande ricchezza archeologica, fonte di informazioni sugli insediamenti umani e storia del Medio Oriente.
Siamo all’interno dello Stato di Israele e si entra in questo territorio senza soluzione di continuità. Eppure cambia la bandiera, la targa automobilistica, la lingua… entriamo in un territorio molto diverso da un punto di vista orografico, sociale, culturale ed economico. Anche Google Maps ne avverte la differenza è dà informazioni meno precise. L’ottimo servizio sui trasporti pubblici si interrompe e non comunica linee ed orari dei collegamenti fra i due territori. Anche se siamo all’interno dello stesso stato. La moneta è unica e le tasse prendono un’unica destinazione.
Sono arrivato a Gerusalemme. Anzi no, sono ancora alla ricerca della Gerusalemme.
Per il momento lascio a chi mi segue una carrellata fotografica.
Il mio vissuto interiore su questa meta raggiunta è “work in progress”.
L’incontro con la città è un cammino. Ho bisogno di lasciare ancora impronte per entrare e scoprire le dinamiche della difficile umanità che questa comunità sta vivendo.
Sono nella fase di brain-storming, meglio attendere l’arcobaleno per riflettere con la luce del bel tempo in arrivo

Gen 10, 2018 |

Non è facile parlare di Gerico.
L’attuale città di Gerico (Ariha in arabo, Yeriho in ebraico), situata a circa 250 metri sotto il livello del mare. Solo nel secolo scorso ha assunto lo status di vera cittadina, arrivando oggi a 20.000 abitanti. Dopo il 1948, poi, a causa della presenza dei profughi palestinesi, aveva addirittura raggiunto quota 80.000. I campi che li accoglievano sono stati smantellati all’epoca della Guerra dei sei giorni, nel 1967: molte delle persone che vi erano ospitate sono state dislocate in Giordania e in Libano. Nel 1994, come primo passo verso un’indipendenza palestinese, Gerico ha ottenuto una certa forma di autonomia insieme alla Striscia di Gaza.
Come del resto già era in epoca biblica, è tornata a essere una stazione di soggiorno invernale.
La Gerico più antica sorgeva presso il Tell as-Sultan (“ colle del Sultano”) 2 km a nord-ovest dell’attuale centro. Il Tell, piuttosto vasto e alto 21 metri e mezzo, è considerato la più antica città del mondo. La sua storia si protrae all’indietro fino al IX millennio a.C., ossia l’Età della pietra (Mesolitico). Alcuni reperti sono stati datati tra il 10000 e l’ 8000 a.C. con il metodo del carbonio 14.
Nella Bibbia, Gerico è la prima città conquistata dagli israeliti –su ordine di Dio e con il Suo aiuto –dopo l’attraversamento del Giordano.
Arrivo a Gerico verso le due del pomeriggio. La temperatura caldo umida è intorno ai 20° C.
Alla casa AubergeInn mi viene incontro il giovane Tarek, accogliente e simpatico. Si dà da fare per parlarmi in Italiano. E ci tiene ad informarmi che è studente universitario e che è venuto più volte a Roma ed in Sardegna per manifestazioni di gare di corsa podistica. Siamo nel mondo arabo e l’accoglienza va oltre la convenienza professionale.
Da trenta chilometri vedo solo formazioni collinari dal colore bianco e che vira verso il rosso mattone. Nel fondo valle e di lato alla grande via di comunicazione alcuni tentativi di rendere fertile la terra, anche con serre. E comunque ben lontano da quanto gli israeliani hanno realizzato nella piana del Mare di Galilea.
Ho il tempo di fare un piccolo tour nel centro di Gerico.
L’attività commerciale è l’anima del mondo arabo ed il suk riempire di offerte di ogni genere.
Dietro casa ho il Monte delle tentazioni e il sito archeologico dove Erode si era fatto costruire la residenza invernale.
Il mio programma prevede per domani di arrivare a Gerusalemme attraversando il deserto di Giuda lungo la vallata fluviale del Wadi Qelt e con una buona salita fino a 750 s.l.m. di Gerusalemme.
Si tratta di un canyon scavato tra due pareti di roccia, un vero e proprio greto di un fiume senza acqua.
Ho raccolto molti consigli di perplessità in relazione a percorrerlo da solo. Scelgo di avventurarmi solo nella prima parte fino al Monastero ortodosso di San Giorgio in koziba.
Secondo la tradizione, qui il profeta Elia sarebbe rimasto per tre anni in una grotta, poi trasformata in cappella.
Il luogo ha una tradizione assai antica. I primi a insediarvisi furono probabilmente, all’inizio del V secolo d.C., alcuni eremiti siriani, presso una cappella dedicata a santo Stefano. Il cenobio ha avuto nella storia alterne vicende, sia in epoca arabo-islamica che in epoca crociata. Restò pure abbandonato dopo l’uccisione di tutti i frati. Solo verso la fine del 1800 fu ricolonizzato da frati greco-ortodossi.
Confesso che ho guadagnato questo sito con una discreta fatica. Sono uscito da questa zona inospitale e disceso verso l’insediamento di Mitzpe Yericho. Dopo una decina di chilometri di buon passo lungo la statale n. 1 raggiungo il checkpoint. Siamo alle porte dI Gerusalemme. Mi prende l’emozione del pellegrino che non si sente arrivato per sedersi… ma del cristiano alla ricerca della Gerusalemme.
Le pietre, le ossa e la storia degli uomini sono semi e tracce lasciate da quel Maestro che ci apre le porte della Gerusalemme.
Gen 8, 2018 |

Esco da Tiberiade con una splendida giornata di sole. È domenica e dovrebbe essere il primo giorno della settimana, per gli israeliani. Eppure alle ore 6:30 la città si sta animando nei preparativi per la giornata della grande maratona, evento a cadenza annuale. Immagino che l’iniziativa si svolga all’interno della città ed invece scopro che tutte le strade fino a Kinneret, Gorem, Degania Alex, Yardenit e a Ma’agan sono presidiate da volontari e polizia per facilitare lo svolgersi della stesso evento. Si tratta di una manifestazione podistica che si replica nei vari territori della Galilea.
Anche i mezzi pubblici che collegano questa zona, lungo la nazionale n. 1 verso Gerusalemme, sono sospesi.
Naturalmente i pedoni possono tranquillamente transitare lungo il marciapiede e una comodissima pista ciclabile. Oltreoassato l’angolo della punta del lago le strade non sono più compromesse con la maratona.
Inizia una zona che è un giardino di verde lussureggiante ed una miniera agricola. Entro nel recinto di un kibbuz fra filari chilometrici di piantagioni di banana, di arance e mandarini, avocado, pomodori, melanzane. Non mancano allevamenti di bovini, ovini ed avicoli. L’occhio mi ha permesso di contare, in transito, almeno venti camion che trasportano mangime. Dopo la festa bisogna rifornire gli allevamenti per la nuova settimana.
Siamo nei territori migliori sia dal punto di vista climatico che di risorsa idrica. Sono passato accanto al più grande deposito e pompaggio d’acqua dI Israele. È presidiato e protetto come una zona militare. Gli israeliani si sono insediati ormai da oltre sessant’anni. Hanno fatto investimenti importanti e realizzato una agricoltura d’avanguardia. La ricerca e la tecnologia caratterizzano la risorsa culturale di questo popolo. E qui trova il massimo della realizzazione. Già negli anni settanta circolavano, nei nostri testi di zootecnia, i livelli avanzati di quella Israeliana.
A Bet She’An e dintorni l’occupazione non è avvenuta con le carezze. La popolazione araba è stata letteralmente allontanata. Dopo il ’48, ed in particolare con la guerra del ’67, il nascente stato israeliano ha colonizzato questo territorio. Fino a Sha’ar HaGolan e a Beit She’An i coloni vivono nell’enclave del Kibbuz. È zona residenziale, dotata di ogni servizio autonomo, un vero proprio grande quartiere, reso sicuro da recinzione e da sbarramento all’accesso. Ho notato pure una persona armata a custodire la strada di accesso al Kibbuz. Intorno al nucleo residenziale si espande la mega azienda agricola, curata e coltivata dai coloni. Le prime esperienze storiche di questa forma di organizzazione sociale sono nate con cittadini ebrei arrivati dalla Russia o Est Europa e che hanno rimodulato il sistema cooperativistico. Oggi l’organizzazione è quella di una normale società d’affari, che differenzia le attività di reddito. In quasi tutti i Kibbuz è presente una offerta di B&B, spesso di elevato livello.
Beit She’An, cittadina di venticinque mila abitanti. Un tempo arabi, oggi prevalentemente israeliani. È stata capoluogo della Decapoli in epoca romana. È presente un parco archeologico ben curato. Il mio alloggio è un piccolo appartamento privato. La fossa del Giordano dista non più di cinque o sei km. Naturalmente il fiume scorre nella depressione e ho di fronte il gruppo montuoso Gilad, territorio Giordano.
Più si procede lunga la strada n. 1 che segue la depressione del Giordano, il verde vira al giallo. Si entra in territorio Palestinese e la fisionomia sociale ed economica muta sensibilmente. Quindici km dopo Beit She’An un checkpoint segna l’entrata nel territorio palestinese. Con molta professionalità e cortesia un giovane soldato mi chiede di fermarmi e mi avvicina un funzionario certamente di grado superiore. Poche domande sulla provenienza e destinazione e se dispongo di armi. Sorrido!!! Gli rispondo che sono solo un “old grandfhater” che va a piedi. Lo sguardo vira alla simpatia ed dopo un controllo del passaporto mi congeda con un saluto di buon cammino. Ho avuto almeno tre randez-vous con forze dell’ordine. Ho incontrato sempre giovani funzionari e con un comportamento professionale e di non rutinarietà.