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A circa 100 km da Gerusalemme, lungo il mar Morto sorge Masada, una fortezza naturale unica nel suo genere. Si presenta come una piattaforma naturale con pareti ripide su ogni lato. Si erge a 450 metri al di sopra del Mar Morto (anche se a soli 50 metri s.l.m.).
Erode il Grande si servì di questa rocca nel 40 a.C. ed in seguito la fortificò, trasformandola in una reggia tranquilla, confortevole e a distanza di sicurezza da Gerusalemme. Dopo la conquista di Gerusalemme (70 d.C.) da parte dei romani, la fortezza –comandata dagli “zeloti” ebrei –fu un centro di resistenza. Solo dopo un assedio durato otto mesi, e dopo aver costruito un terrapieno per scalare la parete ovest della montagna, i romani riuscirono a impadronirsene nell’anno 73 o 74 d.C.
Gli uomini della fortificazione preferirono il suicidio di massa, piuttosto che la schiavitù.
È assurta a simbolo del sionismo prima e durante la Seconda guerra mondiale.
Un sentiero ben curato consente di salire la Rocca per gustare il sito archeologico, ma il business del turismo ha insediato una cabinovia per i pigri.
Questo tempo ha alimentato la mia conoscenza e riflessione sul popolo ebraico.
I giudici, i due stati, la grande monarchia con Davide e Salomone, il primo tempio e la deportazione persiana, il secondo tempio, gli usurpatori colonizzatori romani, le invasioni arabo-mussulmane, i bizantini e l’impero ottomano sono le tappe di una storia affascinante e complessa. Un popolo che ha costruito in Jahvè la propria identità. Dalla fedeltà al proprio Dio ha tratto la forza per essere popolo e cittadini del mondo in attesa della liberazione. Le deportazioni, la diaspora, la sofferenza e le persecuzione, le grandi capacità intellettuali economiche ed artistiche dell’ebreo errante hanno scritto pagine importanti nella storia del consorzio umano. Con luci ed ombre da entrambe le parti.
Un popolo che con la forza del sionismo è rientrato nei territori dei propri padri. Con meriti ineludibili ha saputo “salire dalla umiliazione dell’Egitto…verso una terra dove scorrono latte e miele”
L’umana sofferenza che non dimentica una storia travagliata, l’umana propensione al potere sociale, economico e politico… fanno di questa terra un difficile laboratorio alla ricerca della convivenza.
Lo stile di vita, le conquiste, la sociologia e la politica di questo popolo e le relazioni diplomatiche fra vincitori e vinti hanno ancora la strada in salita.
Ricordo le parole di Samar. Diceva che solo con la misericordia si imboccherà il sentiero della convivenza possibile. E noi cristiani possiamo che esserne la fucina di produzione e distribuzione, gratuita.
L’oggi ha ancora molte tinte fosche di ieri. L’homo homini lupus non è scomparso dallo scorrere della storia dell’uomo. Troveremo convivenza possibile quando bandiremo la parola “razza” per assumere quella di “humanitas”.

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