Lasciato il kibbuz di Mizra, dopo 5 km attraverso la cittadina di Afula. Ancora qualche chilometro e passo per Yizreel/ Izreel. Arrivo ai pochi ruderi della città storica, un tempo fiorente. Ai tempi della Bibbia, era la seconda residenza del re Acab di Samaria. Si svolse qui l’episodio della vigna di Nabot, esempio eccellente dell’etica sociale in vigore nell’antico Israele.
Sono ormai in vista di Jenin, capoluogo dei territori palestinesi e sede dell’autorità. I territori non sono una nazione. E i Palestinesi sono un popolo che occupa una territorio, dove sono cittadini di serie b. Il governo Israeliano è autorità gerarchicamente superiore.
Per entrare in questa zona bisogna oltrepassare un checkpoint, con le caratteristiche di una frontiera vera e propria.
Il checkpoint di Jalamah viene considerato un punto caldo ed un passaggio ritenuto di riguardo. Al mio transito non ho incontrato difficoltà. Due minuti, il tempo del controllo del passaporto. E la domanda di rito: where do you are going?
Un nonno con bianca barba, una facies quasi araba, non è un pericolo. Ha anche lo zaino in spalla, meglio non fargli perdere tempo.
Jenin ha le note di un città e capitale del medio orientale.
È tutta un grande cantiere sia residenziale che di attività produttive e commerciali. Disordine, incuria e immondizie abbondano ovunque.
L’area urbana storica è ancora il caratteristico suq arabo, un formicolio di venditori e di acquirenti. A piedi, in auto, con carretti o moto… un generale movimento caotico vissuto in un indefinibile numero di decibel.
Gli indicatori di una comunità in forte crescita sono evidenti. Abbigliamento, auto, varietà e livello delle proposte commerciali, social… un po’ più di ordine non guasterebbe.
Questo popolo, la gente comune non dà assolutamente segnali destabilizzanti o bellicosi. È evidente la voglia di lavoro e crescita. Anche culturale. Lo testimonia una grande università.
Forse la politica ha bisogno di maggiore educazione alla pace?