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Zababdeh
Alla stazione di cinema in Jenin incontro il gruppo di pellegrini di Silvano Mezzenzana e mi unisco a loro.
L’uscita dalla caotica Città è una liberazione. Raggiunta la periferia, inizia il nostro “per ager”. Attraversiamo una zona di espansione residenziale. Le abitazioni sono di alto livello sociale.
Pochi chilometri ad ovest e siamo nel villaggio di Burkin, che al di sopra di un gola montana segna il confine tra Samaria e Galilea.
La locale tradizione attribuisce a questo sito la guarigione dei dieci lebbrosi da parte di Gesù.
Vi si trova una deliziosa chiesa bizantina restaurata; in essa è inclusa una grotta che avrebbe offerto rifugio ai dieci lebbrosi. Degni di nota anche una iconòstasi medievale e un seggio episcopale in pietra, presumibilmente di epoca bizantina.
Siamo in una area agricola. L’ulivo è la coltura predominante. E l’olio prodotto si dice essere di eccellente qualità.
Lungo la nostra strada oltrepassiamo una enorme cava di marmo travertino. E la custodia dell’ambiente non sembra essere delle migliori.
Il pomeriggio è allietato un un po’ di pioggia che va ad aumentare l’umidità corporea.
La nostra tappa ci porta Zababdeh.
È un villaggio (ri) costruito nel XIX secolo quando si trasferirono qui alcuni cristiani di Taybe. Ancora oggi vi si trovano una chiesa parrocchiale cattolica romana, una ortodossa greca e una protestante.
L’ospitalità della sera e notte ci viene offerta dalle famiglie della locale parrocchia, che è impegnata in molti servizi alla comunità. La più importante è una scuola che offre istruzione a milleduecento ragazzi.

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