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Non mi dispiacerebbe aver la dote del volo! Saper librarsi nell’aria per entrare con l’occhio oltre la visione orizzontale, per andare oltre un limite. Eppure il limite è la componente quotidiana del mio vivere, del quale fatico a prendere coscienza.
Il limite del tempo, dello spazio, delle relazioni, della conoscenza cognitiva è la misura quantitativa del mio avere. È l’enclave del mio Essere!
Se possedessi la dote del volo come gli uccelli, solcherei lo spazio senza muri e confini, ed imboccherei la strada che ha il traguardo della ripartenza verso la convivenza.
Vivere Gerusalemme.
Ogni uomo di buona volontà, laico o credente, dovrebbe fare l’esperienza di vivere Gerusalemme.
Non è certo la panacea dell’umano limite. È l’immersione nella precarietà dell’autosufficienza e del matematico infinito. È la vita di una storia che non sotterra mai la speranza e coltiva un futuro di salvaguardia del dono della vita e del creato, di cui se ne fa custode.
Spesso usiamo l’espressione: ho visitato la città di… per significare che il nostro occhio ne ha fotografato i monumenti, le strade, la distribuzione urbanistica, le sedi della vita sociale, di quella commerciale…
Quando con un po’ di impegno ne entriamo dentro la storia, la coscienza cognitiva si arricchisce.
Altro è l’espressione: vivere la città. Indica l’entrata nel tessuto vitale e partecipativo della comunità che popola quel sito. E quella storia diventa anche la tua.
Per Gerusalemme mi permetto di coniare l’icona delle tre V: vedere, visitare e vivere.
Se questi tre step non li cammini dentro a questa realtà, si resta distratti turisti. A Gerusalemme bisogna investire, bisogna mettere in gioco un pezzo della propria vita per tesaurizzare il valore aggiunto che l’esperienza ti propone.
Quando entri in Gerusalemme, la città nuova ti investe con il suo caotico traffico, con la frenetica vita dei popolosi quartieri residenziali e con le ammiccanti luci del commercio.
Il pellegrino, quando arriva, ha una sola bussola, una sola traccia ed un solo polo d’attrazione. Lo attende la “città vecchia” con le sue possenti mura, costruite da Solimano il Magnifico nel 1537.
Il mio primo varco è stato la new gate o porta nuova. Quella che ti introduce al quartiere Cristiano.
Il pellegrinaggio verso Gerusalemme è come una “ascensione”
La Città santa sorge in cima a una collina, a 800 metri di altitudine.
Fin dalla sua fondazione, avvenuta tremila anni fa ad opera del re David, la decisione ed il tempo del viaggio per raggiungerla sono considerati parte integrante del culto a Dio. È una esperienza decisamente “in salita” e forse proprio per questo capace di trasformarti la vita. Gerusalemme si lascia ammirare da lontano, come la città posta sul monte per attirare a sé le genti (cfr. Mt 5,14).
L’ho raggiunta dopo aver percorso la Galilea e la Samaria da nord e risalendo da Gerico e dalla valle del Giordano.
È una città con una storia molto complessa, nonostante il suo nome contenga la radice della parola “shalom”, che esprime pace e giustizia. Una pace che non potrà regnare senza la giustizia. E solo la giustizia potrà generare la pace.
Dopo aver lasciato impronte lungo le strade di quella terra, comprendo come la convivenza possibile ha un solo “oltre”, l’uomo senza qualifiche di religione, di razza e di censo.
È uno straordinario crocevia di umanità e di fede, di storia e di archeologia ed ha il misterioso potere di segnare la vita di chi ne varca la soglia.
Gerusalemme è una città che ti conquista, l’immersione nelle sue strade ti segna nel cuore. È una città unica, che pare sospesa nel tempo ed al centro del mondo.
Senza le tre religioni monoteiste non esiste la città Santa.
Per gli ebrei è la capitale del re David ed il luogo del tempio.
Per i cristiani è il teatro dell’avvenimento pasquale, fondamento della salvezza.
Per i mussulmani è la terza città Santa, dopo la Mecca e Medina. Da qui Maometto salì al cielo nel suo celebre viaggio notturno.
Gerusalemme è una città molto antica, è come un prezioso scrigno testimone di una storia lunga e complessa, in parte ancora da scoprire. Questo scorcio di medio oriente è stato culla e fonte di grande parte della nostra civiltà occidentale.
Il venerdì è il giorno della settimana che ti offre un vero momento di immersione nel vivere Gerusalemme, è il giorno di una staffetta del tutto particolare.
Si comincia a mezzogiorno con la preghiera dei mussulmani all’Haram al Sharif (il recinto sacro delle moschee). Vado alla Porta Santo Stefano e mi mescolo alle migliaia di fedeli islamici che salgono verso la spianata. Questo accesso è a me interdetto, ma è più importante ascoltare il richiamo del Muezzin, che invita alla preghiera. Quella del venerdì è la preghiera comunitaria, ascoltando le parole dell’Iman e prostrandosi davanti al “Dio clemente e misericordioso”. Siamo abituati a costruirci un Dio un po’ su misura e l’Islam ci offre oggi una provocazione, a non dimenticarci della trascendenza di Dio. Un Dio grande e Unico e, davanti a Lui, non puoi fare altro che prostrarti e pregare.
Per i mussulmani questa città è semplicemente al Quds, la Santa.
Esco dalla città vecchia e vado verso il monte degli Ulivi. Quattro buoni passi in salita.
Due tappe lungo la stessa strada.
La prima è l’eleona, la grotta dove si fa memoria del Padre Nostro. È la risposta alla domanda degli apostoli “Signore insegnaci a pregare”. Il Dio Unico e Grande di Haram al Sharif, qua diventa colui a cui posso rivolgermi chiamandolo “Padre”. È la parola in più rispetto al clemente e misericordioso del Corano. È il salto di qualità del Vangelo.
La seconda tappa è l’orto del Getsemani. La moderna basilica delle Nazioni ha al centro la roccia dell’agonia, venerata dai cristiani fin la IV secolo.
Per le tre del pomeriggio salgo al Convento della Flagellazione per vivere la Via Crucis con i Francescani.
La preghiera inizia nella zona in cui si trovava la fortezza Antonia, sede del governatore Romano a Gerusalemme, e da qui si snoda lungo la via Dolorosa. Le stazioni si susseguono ed entrano nel suq, il mercato arabo. Dopo aver fatto tappa al monastero dei copti ed alla chiesa luterana, la via crucis entra nella Basilica del Santo Sepolcro.
Per raccontare la ricchezza della storia, il significato dei luoghi e della custodia di questo sito, sono state scritte tante pagine da esperti.
Questo è il luogo più certo della Terra Santa, perché la “prova” risale al 135, appena un secolo dopo la passione di Gesù.
Golgota e Anastasis (Resurrezione) sono i due volti del mistero che qui trovano sintesi celebrativa. Dopo essere passato alla tomba vuota, per uscire bisogna ripassare davanti al Calvario. Siamo chiamati a vivere l’esperienza di Tommaso, a mettere il dito nel segno dei chiodi.
Il terzo appuntamento del venerdì a Gerusalemme è quello dell’imbrunire, ogni ebreo va incontro allo Shabbat. Vado verso il kotel, il Muro Occidentale. Normalmente gli ebrei non lo chiamano muro del pianto.
In realtà il secondo tempio, quello dove anche Gesù ha pregato, si trovava sopra sulla spianata.
L’ebraismo non è una fede che piange, è una realtà viva, una fede che per sua natura guarda al futuro.
Nello Shabbat c’è tutta la dimensione dell’attesa, vissuta all’unisono con il sole che tramonta. È l’attesa gioiosa dello sposo per la sposa. Seguendo il ciclo delle stagioni, ogni venerdì la sposa arriva ad un orario diverso. Questo appuntamento diventa un “unicum”.
Spesso associamo lo Shabbat ad un riposo fine a se stesso, dettato dalle rigide regole del Talmud. Lo Shabbat è il giorno dell’innamorato dellAltissimo. Per questo amore, l’uomo abbandona per un giorno alla settimana tutto ciò che potrebbe distrarlo.
Il rito poi continua tra le mura di casa. Il momento della cena diventa celebrazione.
Tre riti diversi, tre modi di alzare lo sguardo su Gerusalemme, oltre le umane contese, mettendo a base la preghiera.
Mi rincorre un pensiero. Non posso conoscere Gerusalemme senza che nel mio cuore ci sia posto anche per ciò che l’altro ama di questa città.
Ogni venerdì, in questa città dalla storia così tormentata, non si stanca di salire al Cielo un messaggio di pace, in arabo, in ebraico ed in latino.
Vale la pena ripartire il consiglio di Michel Sabbath, già Patriarca dei Latini in Gerusalemme.
“Non pregare per gli israeliani, non pregare per i palestinesi, ma prega perché siano insieme nel tuo cuore”

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