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Il conto alla rovescia è al conteggio delle ore.
Domani prendo il volo di avvicinamento al cammino con tappa ad Amman.
La casa del pane è quel negozio dove un esperto manipolatore di farine varie di cereali è in grado di dare forma a quel comune alimento che troviamo sulla tavola di poveri e ricchi, nobili e popolani. Ogni latitudine e longitudine del pianeta lo prepara e presenta con forme ed ingredienti differenti.
Mia madre lo sapeva fare veramente bene. Ho un piacevole ricordo del fragrante e ghiotto alimento.
La riflessione, dall’apparente banalità, mi viene suggerita dalla parola Betlemme.
Per il cristiano, che ieri ha celebrato il Natale, Betlemme è la città palestinese dove l’evento si è realizzato.
In lingua ebraica Beit Lechen può essere tradotto come “casa del pane”.
Per la verità, non è l’unica traduzione possibile, è certamente quella che per il credente ha, nella semantica, l’immediatezza della comprensione.
Il messaggio che ci viene da quella città non trascura nemmeno chi del Natale ne ha fatto una festa commerciale.
Ogni uomo ha bisogno di un alimento dove trovare significato e motivazione alla propria esistenza.
Nel fornaio troviamo il modello-testimone del messaggio cui agganciamo la ricerca del “perché “ siamo ed esistiamo.  Il fornaio, elaboratore dell’impasto, è colui che è capace di dare forma alle idee, come materia prima che la ragione propone.
La forma del pane ci svela le espressioni che personalizzano (“rendono persona”) il nostro essere nel consorzio umano.
E se poi l’alimento è pure fragrante e gustoso, sarà un piacere cibarsene.
Il Dio che è capace di far nascere un Gesù per amore e di farlo camminare con noi, è in grado di provocarci la nausea di una vita assurda ed egoista ed offrici spinte verticali.

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